sabato 24 novembre 2012

Il velo tra occidente e oriente



Presso il Dipartimento di discipline storiche, antropologiche e geografiche (Piazza San Giovanni in Monte 2, Bologna, aula Lucio Gambi) si è tenuta la prima sessione del Seminario Internazionale: Il velo tra occidente e oriente Scambi, materiali e rappresentazioni dal tardo medioevo alla prima età moderna. Mariateresa Fumagalli condivide con noi i suoi appunti che vi proponiamo qui di seguito e per i quali la ringraziamo.


Siamo un gruppo collaudato che da qualche  anno lavora su temi della cultura  femminile: il primo  passo l’abbiamo fatto indagando sulla scrittura delle donne in Europa nei secoli premoderni (alcuni risultati di questa ricerca si possono leggere in Donne e scrittura dal XII al XVI secolo, 2009,  Lubrina editore, a cura e con introduzione di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri).

E ora ci troviamo tutte/tutti ancora una volta intorno a un tavolo per ascoltare e poi discutere un tema antico e attualissimo: il velo femminile tra Oriente e Occidente, nei documenti e nell’immaginario dal tardo medioevo alla prima età moderna. È il tema di un importante progetto nazionale di ricerca storica finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (un cosiddetto progetto PRIN) guidato da Giuseppina  Muzzarelli al quale partecipano da Firenze Gabriella Zarri e da Perugia Maria Grazia Nico insieme ad altri studiosi.

Abbiamo ascoltato Alessandro Vanoli che ha presentato la sua ricerca sull’immagine della donna orientale (turca per lo più) diffusa in alcuni  testi italiani di quei secoli e poi Suraiya  Faroqi – docente di  storia islamica all’università di Monaco - illustrarci le diverse  forme  di abbigliamento delle donne di Bursa fra Seicento e Ottocento.
Le domande si affollano e non sono solamente  richieste di informazione.

Cosa significa “velo”? Innanzitutto è qualcosa che nasconde una identità individuale o al contrario segnala uno stato sociale  o religioso particolare ossia una identità “collettiva”? Entrambe le cose. Ci sono state  e ci sono in diverse società veli differenti per le fanciulle, per le donne sposate , per le vedove… Il velo occulta la presenza femminile fuori dalle mura domestiche permettendo alla donna di uscire all’esterno, osservare e non essere vista ma può anche costituire un ornamento  (fino a diventare la seducente “veletta”): situazioni in parte contrastanti difficili da mettere in una medesima categoria.

Da migliaia  di anni (quindi molto prima del discusso “velo islamico”) il velo femminile appartiene alla cultura mediterranea  e ad alcune  aree del vicino e medio oriente. I Padri cristiani lo raccomandavano come simbolo di modestia, i padri di famiglia e i mariti gelosi lo  imponevano, le donne a Venezia e altrove ancora nel XVI secolo se ne servivano per girare indisturbate e “protette” fra la folla…

I partecipanti  al seminario si sono distribuiti i compiti di ricerca secondo le differenti  competenze, che vanno dalla storia del diritto e del costume a quella dell’arte, e si ritroveranno per presentare i risultati e esaminarli insieme nei primi mesi dell’anno che verrà. Vi segnalerò le date degli incontri,  aperti a tutti.

Mariateresa Fumagalli

3 commenti:

  1. Mi pare un'iniziativa molto bella e sono particolarmente curioso di vedere gli sviluppi della ricerca. Mi ha colpito in particolare l'evoluzione sulla lunga durata della simbologia di un oggetto materiale il cui senso viene tradotto attraverso i secoli. Immagino che le traduzioni si possano leggere attraverso le trasformazioni materiali, e quindi il variare delle forme apre continuamente a nuove e libere interpretazioni senza fissarsi in stereotipi atemporali e luoghi comuni. Bello in particolare il ribaltamento del senso del velo che consente di girare modeste e protette (da altri) al velo della Serenissima che consente di girare indisturbate e protette (grazie alla propria libera scelta). Da quello che si legge nella presentazione della ricerca mi pare che si possa anche parlare di una decisa funzione performativa. E' corretto?

    RispondiElimina
  2. Ringraziamo anche Massimo Campanini, che ci chiede di condividere il suo pensiero:

    «Approvo incondizionatamente il tentativo di andare oltre i pregiudizi sul velo femminile, che è un problema urgente più per l'opinione pubblica occidentale che per l'opinione pubblica islamica. Del resto, la pratica del velarsi è comune a molte civiltà del mediterraneo e del vicino oriente non solo a quella islamica. Cercherò nei limiti del possibile di partecipare a uno dei prossimi incontri».

    RispondiElimina
  3. Questa ricerca che mi sembra interessantissima muove a mio parere una riflessione sull'idea di maschera. Ricordo un libro che amo molto: la recita di Bolzano di Marai, nel quale il momento di maggiore sincerità è consentito proprio dal fatto di essere in maschera. La società in cui viviamo - e per le donne sommamente - non ha affatto escluso dalla propria sfera la maschera: penso alla moda del trucco o della pettinatura che neutralizza le differenze individuali e produce volti molto simili fra loro, ma l'ha in qualche modo non separata dal volto. in questo senso il velo sarebbe uno strumento sensibile alle stratificazioni dell'identità (dalla privatezza al pubblico), che una società "moderna" finge di non considerare. Non posso non suggerire per i milanesi una visita al meraviglioso dipinto di Gentile Bellini a brera con la predica di san Marco ad Alessandria, con il corteo delle fanciulle velate. Il velo in pittura è sempre un prodigio di virtuosismo e anche una ricerca in questo senso, credo, potrebbe riservare non poche sorprese.
    Grazie di questo resoconto!
    rossana

    RispondiElimina