martedì 3 aprile 2012

Un saluto per Omar Calabrese

rossana di fazio

Voglio salutare qui Omar Calabrese, che ci voleva bene, e che, ne sono sicura, l'avrebbe mandata prima o poi quella voce per l'enciclopedia che aveva promesso.
Perché Omar era un maestro generoso, e un amico generoso. Che sorrideva. E parlava con voce suadente. E amava le donne. Omar si è circondato di persone stupende che ho avuto l'onore e la fortuna di abbracciare: sua moglie Francesca, prima di tutto, e poi Giovanna, Patrizia, Nene, Silvana... La mia vita senza questi incontri avrebbe avuto meno colori, meno dolcezze, meno calore. Persone che ti fanno sentire a casa. Omar sapeva voler bene, e quindi è amatissimo da chi ha buon cuore. Amicizia e amore, credo di poter dire, valessero per lui più di ogni altra cosa, come organi, forme della vita; come gli era naturale, o così appariva, quel suo modo di conoscere, studiare, associare i pensieri per farne di nuovi e condividerli con gli altri.
Omar aveva sempre fiducia negli altri, si entusiasmava e si fidava sempre e quindi, qualche volta, rimaneva deluso, ferito.
Da lui ho imparato non solo attraverso i suoi libri, che oggi mi sembrano ancora più belli; ma anche così, per vicinanza, per una frequentazione quotidiana che è di tanti anni fa eppure non sento come così lontana. Del resto credo che nello scegliere qualcuno - anche come insegnante - agisca l'intuizione di qualche qualità che ci è affine o necessaria.
Era spericolato, Omar, aveva il coraggio delle idee, e l'ardire di metterle in pratica, di provarci sempre. Apriva degli spazi, ovunque si trovasse; ci metteva delle idee e lasciava ad altri senza troppi rimpianti il compito di coltivare, di stare a guardare e raccogliere i frutti, mentre lui era già impegnato altrove. Quanti studenti ha formato e amato, riamato?
Quando ero molto giovane gli ho rimproverato di non essere abbastanza severo con i suoi studenti, di non essere abbastanza esigente. Oggi non mi sento più giovane, forse proprio perché Omar ha fatto questo brutto scherzo, di lasciare la scena prima di invecchiare - e mi pare, paradossalmente, logico: non era possibile per lui rallentare, cambiare il ritmo...né per chi gli era vicino immaginare che potesse farlo davvero. Bene, oggi, so che in quella sua apparente leggerezza c'era molta più scuola, più intelligenza e ancora fiducia, rispetto, nel lasciare a ciascuno la responsabilità del proprio lavoro, senza con ciò lesinargli domande, suggerimenti, linee di lavoro o discussione. Come a bottega, e nell'apprendistato, si impara facendo... Che è la migliore lezione che un maestro possa dare, mi sembra.

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