martedì 4 giugno 2013

Fuoco amico. (Femminicidio e parole. Femminicidio e immagini).

FUOCO AMICO
Femminicio e parole. Femmicidio e immagini.

Due idee chiare riconosco in testa: la prima è che nella comunicazione si gioca un grande ruolo in questa storia di aggressione e l’altra è che si fa anche un po’ finta di non saperlo.

Per esempio, vedo una pubblicità in cui lo slogan (qualcosa come fai uscire il tuo ego) si accompagna a una donna in fiamme che esce da un copertone, solo un’immagine, certo, ma è difficile non pensare a quelle che ci hanno lasciato la pelle, ma questo genere di esegesi l’ho già fatto anni fa.

Vorrei invece far notare che anche in campo “amico” agiscono due pericolose strategie comunicative.

La prima: difendere “la donna” in quanto vittima, e non in quanto persona. Fotografie su pagine facebook  che “ricostruiscono” il set della bocca chiusa, della donna sottomessa, la calza smagliata, i lividi sul volto ben truccato: immagini costruite in cui agisce una idea “pubblicitaria”, patinata della riproduzione della persona, una retorica che riconduce a un genere “letterario” anche il racconto della violenza, forse di per sé non rappresentabile, anch’esso, credo, ai limiti dell’intollerabile.

Tangente a questa operazione retorica trovo preoccupante una tendenza che riconosco, per esempio nella campagna di reclutamento fondi della chiesa valdese (ferite a volte uccise): data l’attualità, evidentemente l’argomento “tira” sul piano comunicativo e pubblicitario,  e dunque in un senso rovesciato l’immagine della donna persino nel ruolo di vittima agisce come molla pubblicitaria di una campagna, peraltro non tutta devoluta alla difesa delle donne.

(Si affaccia tutta una questione relativa alla immagine chi coloro che si vogliono difendere: anche qui bisognerà studiare modi più giusti di rappresentare una umanità che ha bisogno di vedere riconosciuta una dignità e non di suscitare pietà - la pietà umana forse è un fatto individuale, che non deve diventare strumentale).

Il secondo monito che vorrei proporre: smettiamo di “riprodurre” e far circolare ciò che vogliamo non esista più. In una delle tante  campagne contro la violenza alle donne dell’anno scorso si mostrava una donna con la bocca incerottata accompagnata da uno slogan: sta zitta cretina. Anche qui che si volesse far passare il concetto opposto, beh, non era del tutto lampante e l’immagine risultava violenta in sé, mettendo  in circolazione per esempio presso i bambini una idea e una parola “plausibile”, che tale non dovrebbe essere.

L’impatto anche quantitativo del danno è tale che dobbiamo concepire una comunicazione in termini positivi e costruttivi.

Non sto parlando di censura, non sto parlando di rimozione. Sto parlando di un uso consapevole e onesto della comunicazione. Dopo più di cento anni, chissà, si potrebbe tentare.

Rossana Di Fazio

2 commenti:

  1. E' come se queste pubblicità volessero rappresentare la violenza esattamente nelle forme che sono eccitanti per il violento. Io poi non saprei come rappresentarla in forme che non eccitino le teste bacate, e forse non solo loro. Bisognerebbe ingegnarsi a rappresentare qualcos'altro.

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  2. scusate ma poi...saranno utili a qualcosa?

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