domenica 9 maggio 2010

Come ci siamo arrivati? Ovvero il valore negativo del femminismo.

Mi sembra sempre più unanimemente condiviso il valore negativo che viene attribuito al femminismo. E quello che è più strano è che questo valore negativo è diffusissimo tra le donne e, ancora più interessante, è diffuso tra le donne che hanno un ruolo sociale prestigioso o hanno raggiunto una autonomia ben riconoscibile. Ho letto di recente, ad esempio, una intervista a Monica Bellucci su Vanity Fair, nella quale prendeva nettamente le distanze dal femminismo, nonostante assumesse nella propria vita e nella propria quotidianità molti dei valori che il femminismo ha diffuso nella società. Sembrerebbe perduta la consapevolezza per la quale se facciamo quello che possiamo fare adesso, cose normali come votare, studiare, lavorare, decidere se avere o meno dei bambini, decidere se sposarci o meno, divorziare, praticare uno sport, indossare i pantaloni, lo dobbiamo solo al lavoro di quante prima di noi hanno combattuto per ottenerle. Anzi, sembrerebbe che si voglia rinnegare tutto questo.
Mi interessava lanciare questo spunto di riflessione: come è accaduto che il femminismo sia stato negativizzato senza possibilità di appello? Come siamo arrivati a questo? Chi sono i principali responsabili di questa operazione? E quali sono le tappe che hanno portato alla situazione attuale? O è stata una caduta lenta e insesorabile?
Attraverso alcune ricostruzioni forse si potrebbe disattivare qualcuna di queste operazioni di svalorizzazione e provare a ricostruire una rinnovata positività. Se qualcuno ha qualche idea in merito, mi piacerebbe che la condividesse con noi.

margherita

3 commenti:

  1. Cara Margherita e cara redazione,
    provo a dare anch'io uno spunto. Premetto che non sono esperta in materia di femminismo ma, nei miei studi di comunicazione, ho toccato più volte l'argomento.
    Uno di questi casi era la mia tesi di laurea, sulla campagna stampa di D&G del 2007. La campagna era accusata di incitare allo stupro di massa e comunque mostrava una donna sottomessa. Uno dei punti di vista della mia tesi era proprio quello di un'associazione femminista della mia città: per studiarlo, ho letto centinaia di email che le socie si erano scambiate in proposito.
    Per tornare in tema: dopo aver letto e analizzato le email, dopo aver cercato di evidenziare motivazioni e spunti, mi sono detta che, talvolta, le femministe moderne radicalizzano idee che sono, in principio, giuste e legittime.
    I responsabili della condanna del femminismo sono, a mio avviso, innanzitutto la società maschilista e ancora patriarcale in cui viviamo. Sembra incredibile, ma esistono ancora uomini che vorrebbero le donne "al loro posto". Ne sentivo parlare anche l'altro giorno alla radio. Uomini che non considerano le donne come "semplici persone" (semplici per indicare persone normali, come tutte), ma che polarizzano il binomio uomo-donna e ne distinguono le possibilità di sentire, dire, fare, ottenere.
    Questo, insieme alla radicalizzazione di ALCUNE femministe, porta a vedere di malocchio un movimento cui noi RAGAZZE dobbiamo tutto. Non ultimo, il fatto di poterci considerare PERSONE.
    Mi scuso se il mio intervento risulta eccessivamente ingenuo, ma mi interessava offrire la mia piccola esperienza.
    Saluti e buon lavoro,
    Valentina Patrono

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  2. Premetto che ritengo la questione posta un poco in modo "generico" e forse provocatorio dalla mia amica; intravvedo due strade che ci hanno portato a una generale "riluttanza" a dichiararsi femminista anche quando si reclama una parità di diritti, per esempio, o dignità. PRIMO: una generale rimozione del passato recente per evitare lo scontro. C'è molte paura del conflitto in giro: ci scriviamo su diciamo sempre la nostra, ma nell'affrontare direttamente l'altro che sappiamo essere su posizioni radicalmente diverse c'è molta cautela, quasi un tabu. Quindi se qualcuno dice: femminista? chi risponde pensa a tutta una stagione che ha chiamato il conflitto, lo ha decorato con slogan precisi, con una certa forza anche aggressiva. E' quella aggressività che in qualche modo viene secondo me "rinnegata".
    La seconda osservazione è più personale, e riguarda il linguaggio. . Personalmente ho una resistenza al linguaggio che si cristallizza nei movimenti, o in momenti cruciali. nel femminismo ci sono state tante tante stagioni,e spesso caratterizzate da parole-chiave. Se sono fatte per capirsi, benissimo, ma tendono a divenire stereotipi e poi la bocca si riempie di stereotipi ecco, questo l'ho sentito un poco soffocante, ho sentito il peso della griglia sulla realtà multmofrme e decisamente per me più interessante.Diciamo che una certa tendenza a rendere il linguaggio un gergo ha rappresentato per me una limitazione a frequentare i luoghi della riflessione fra donne. Chissà, forse anche per altre persone...

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  3. Quando tento di difendere le donne (e me stessa,quindi), specialmente nelle discussioni con gli uomini,la prima risposta che ho dall'altra parte è un'accusa di femminismo: "cosa ti metti a fare la femminista? tu che hai tutto?" Finisce che mi sento quasi in colpa perchè "in fondo quello che volevate l'avete ottenuto, adesso basta, volete troppo!".
    E' vero, abbiamo molte più possibilità di scelta. Ma gli uomini no e non le vogliono. Non hanno cambiato una virgola nel loro ruolo, da sempre più comodo,mentre noi continuiamo a mantenere i nostri di madri-mogli-amanti comunque, oltre a quelli nuovi di lavoratrice, donna indipendente, in carriera, etc...
    sono d'accordo con Valentina quando dice che il femminismo è stato negativizzato dalla cultura maschilista che esiste tutt'ora..perchè non dobbiamo dimenticarci che quella è cambiata ben poco e che ci sono ancora tante conquiste da realizzare.
    C'è ancora bisogno del femminismo, di una "lotta contro"...pur mantenendo sempre la speranza che un giorno potremo essere libere anche dal nostro stesso "reggimento"...

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